Antonio Ghislanzoni (Lecco 1824, Caprino Bergamasco 1893) conobbe per la prima volta il Maestro Giuseppe Verdi nel 1846, presentatogli da Andrea Maffei (traduttore di Schiller, Moore e Goethe) a Milano. Fu però l’editore Ricordi a promuovere la loro collaborazione in quanto riteneva che Ghislanzoni sarebbe stato l’uomo adatto a convincere Verdi di un finale più opportuno per l’opera La forza del destino. Scriveva Verdi:
Si dice che La Forza del destino sia troppo lunga, e che il pubblico sia spaventato dei tanti morti! D’accordo: ma una volta ammesso il soggetto come si trova altro scioglimento? II terzo atto è lungo! Ma quale è il pezzo inutile? L’accampamento forse? Chi sa! Messo in scena come si deve non riescirebbe inferiore alla scena dell’osteria.
Ghislanzoni risolverà risparmiando la vita ad Alvaro, il personaggio principale. Soddisfatto il Maestro, Ghislanzoni ebbe nel 1871 l’occasione di scrivere il libretto dell’Aida.
Ghislanzoni fu librettista d’opera ma anche baritono, impresario, aiuto-coreografo, giornalista, poeta e scrittore. Tra i principali esponenti della scapigliatura milanese, fu intellettuale di tesi mazziniane e fondò e diresse diversi giornali di cronaca e di critica.
Visse da bohémien in diverse città d’Europa in aperto dissenso con la tradizionale cultura borghese, giudicata languida, provinciale e stantia. La particolare inclinazione di Ghislanzoni all’ironia e alla sdrammatizzazione conduce all’assoluto distacco dalla realtà propria del lirismo romantico, mentre i toni grotteschi utilizzati perdono cupezza ma accostano l’opera dell’autore a un ambiente più oggettivo, vero.
L’estro intellettuale e artistico di Ghislanzoni suggerì inoltre all’autore, nel 1884, la pubblicazione di Abrakadabra, tra le prime opere italiane di fantascienza, ambientato a Milano nel 1982.