Clementina Dromì (Astrella Agape) nasce di notte in un paesino dell’entroterra aspromontano calabrese all’inizio degli anni Sessanta. Fin dall’infanzia mostra una predisposizione alla scrittura e alla drammatizzazione, producendo testi che mette in scena insieme agli amici della parrocchia San Brunello a Reggio Calabria. Negli anni del liceo e dell’università prosegue il suo interesse per il teatro e la scrittura.

Il cielo che sento di Clementina Dromì
Sono una baby boomer
Così si chiamano quelli della mia generazione, nati tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, in pieno boom economico. Ai miei nipoti dico che sono nata con la lavatrice, il frigorifero e la televisione e mi diverte vedere le loro espressioni incredule quando racconto che il telefono fisso non c’era in ogni casa; un po’ come adesso, con la differenza che non esistevano i cellulari e neanche Internet. La tv dei ragazzi cominciava alle cinque del pomeriggio e potevamo guardarla solo se avevamo finito i compiti, e andavamo a letto dopo Carosello…
Che mondo strano agli occhi di chi è nato nell’era digitale, in cui le emozioni si misurano dai like sui social!
Sono una persona fortunata: sono cresciuta senza gli obblighi dei bambini di oggi, che hanno una miriade di attività e arrivano a casa stanchi per stordirsi con videogiochi e cartoni animati giapponesi. Era la strada il mio terreno di gioco, e i campi e i boschi, e solo la fantasia a dominare sovrana ogni giornata. E le sere di inverno erano le storie del nonno a tenermi sveglia intorno al braciere…
Ho goduto di una famiglia unita e molto presente, di insegnanti che mi hanno fatto amare lo studio e mi hanno aiutata a crescere libera da condizionamenti, amici con cui ancora oggi condivido pensieri e vita.
E poi mi sono innamorata. Con gli occhi aperti. Di un uomo che si è innamorato di me con gli occhi aperti. E ho imparato cosa vuol dire essere liberi in un rapporto a due: è fidarsi dell’altro a tal punto da addormentarsi come un bambino e svegliarsi con un sorriso. È guardare una partita di calcio in cui la tua squadra del cuore sta battendo la sua e litigare su un fallo non visto dall’arbitro e subito dopo il fischio finale preparare insieme un tè di consolazione per chi ha perso.
Uscire dall’ufficio un attimo prima che il telefono squilli, sapendo che lui è di sotto che ti aspetta. È confrontarsi su tutto e confidarsi ogni cosa sapendo di trovare sempre orecchie attente anche quando non si è d’accordo su niente. Non aspettare di sentirsi dire te l’avevo detto, ma dirlo a se stessi sorridendo.
È sentirsi viva anche adesso che una parte di me è morta con a lui, riuscire comunque a fare tutte le cose che ero abituata a fare insieme perché il suo amore continua a scaldarmi l’anima.
Perché ci si innamora consapevoli che i difetti di chi sta affianco sono parte integrante del proprio amore, esattamente come le sue virtù. Se ci si innamora nonostante, non si amerà mai.
Io non sono tra quelle che dicono che solo soffrendo si comprende cos’è l’amore.