Cristiano Pedrini lavora in una biblioteca in provincia di Bergamo. Dal 2014 per ritrovare se stesso ha intrapreso la carriera letteraria pubblicando romanzi e storie brevi. Il suo sito è www.cristianopedrini.it.

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Copertina Pedrini Blu di Chartres

Blu di Chartres di Cristiano Pedrini

I. La fine del ballo

La Buick nera si infilò tra le altre vetture parcheggiate ordinatamente nell’ampio cortile antistante il giardino, arrestandosi subito dopo.  Il cofano nero della piccola automobile, con le insegne del comando tedesco, era illuminato dalla luce che oltrepassava le grandi vetrate del palazzo che gli donava un’insolita lucentezza.

Ne scesero due ufficiali. Mentre il primo osservava con evidente curiosità l’edificio e il parco circostante, il secondo sembrava non darsene importanza. Eppure, quella residenza che si affacciava sull’elegante via Uzov non era un luogo qualsiasi.

I due uomini si incamminarono in modo spedito verso l’ingresso della residenza presentandosi al valletto in attesa, che li introdusse in un mondo che sembrava lontano migliaia e migliaia di chilometri da Praga.

I grandi lampadari di vetro e ottone illuminavano, come nei tempi felici, la sala dei ricevimenti dell’ambasciata, mostrando la ricca volta affrescata i cui colori, in parte rapiti dal tempo, avrebbero necessitato di un importante intervento di restauro. Tuttavia, bisognava ammettere che quello non era il periodo più adatto per realizzare certi progetti, figuriamoci pensarci; non con i rumori assordanti della guerra che, seppur ancora lontana, non faceva mai dimenticare la sua tremenda e ingombrante realtà. Una presenza che le numerose divise dell’esercito presenti a quel ballo di gala rammentavano ai presenti.

Il colonnello Thomas Rainer terminò il secondo calice dell’ottimo rosé, continuando ad osservare l’ambiente che aveva attorno da dietro le sue piccole lenti rettangolari, molto più consone a un professore universitario che a un colonnello pluridecorato appartenente all’élite delle SS.

Il ballo d’autunno che ogni anno l’ambasciata organizzava era considerato, anche in quei tempi difficili, un’occasione unica e irripetibile per gli alti papaveri della società cecoslovacca di mostrarsi compatti e sicuri del proprio ruolo. Ma anche il comando tedesco dava a quel ballo la medesima importanza, ricordando a tutti che la presenza nella capitale dell’esercito del III Reich, era un’ombra che poteva in ogni modo e tempo avvolgere chiunque fosse ritenuto colpevole di non dimostrare sufficiente collaborazione alla vittoria finale, o che complottasse per minare il rapporto di amicizia che legava i due Paesi.


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