Mimmo Accardo (1942), insegnante elementare e cantautore, ama scrivere storie che esulino dall’angusto spazio di una canzone. Così, l’insegnante e il musicista si mettono insieme e raccontano Un concerto nell’altro mondo.

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Copertina Un concerto nell'altro mondo

Un concerto nell’altro mondo di Mimmo Accardo

Primo capitolo

Franco, quarant’anni, ricoverato in Neurologia per una forte crisi depressiva, è stato sistemato nella stanza 27. L’hanno trovato nella strada che viene dal mare, abbracciato al suo trombone a coulisse e in preda a convulsioni di tipo maniacale.

Di sera si recava spesso in quella spiaggia per aprire il suo cuore alla luna e per dimenticare. Aspettava che non ci fosse nessuno, metteva la sordina al trombone e poi, seduto sulla sabbia, con la schiena appoggiata a un piccolo scoglio, soffiava note alla luna.

Note semplici, accompagnate dal ritmico frangersi delle deboli onde sulla battigia, frasi melodiche di canzoni conosciute o inventate al momento con un leggero vibrato nelle note finali, che voleva dire quanto grande era il suo piccolo cuore, un cuore che cercava sempre e inutilmente qualcuno da amare.

È stato sedato e ha dormito tutta la notte. Il mattino dopo, il dottore che l’ha visitato gli ha prescritto una cura e ha disposto il ricovero.

Sono passati così i giorni, a letto, ogni tanto quattro passi in corridoio e qualche giornale, ma ha chiesto e ottenuto di tenere il suo trombone vicino al letto, in piedi, tra lui e il comodino. Il loro è quasi un rapporto d’amore: un amore puro.

Quando andava in spiaggia e poggiava delicatamente le labbra per suonare le sue note, per lui era come baciare una donna; venivano fuori delle melodie dolci e appassionate come frasi d’amore. Anche adesso, qui in ospedale, in fondo al viale c’è un grande parco con tanti alberi e alcune panchine e Franco vi si reca spesso. Lontano da tutti, appoggiato a un albero o su una panchina, con il suo trombone a coulisse con la sordina, sussurra le sue note al vento e al cielo, mentre aspetta che venga dimesso.

Da qualche giorno, curiosamente, ha cominciato a seguirlo un cagnolino dal pelo nero e gli occhi vispi. Si accuccia davanti a lui o accanto alla panchina, la testa giù per terra e sembra che dorma, salvo ogni tanto aprire gli occhi e guardarlo mentre suona, come se ascoltasse e capisse. Muove le orecchie quando Franco suona note acute, probabilmente quelle frequenze gli danno fastidio ai timpani. Poi lo segue passo passo al ritorno verso il reparto, lungo il viale, come fossero due amici a spasso. Strano, ma quell’amicizia con un cane lo fa star meglio e forse lo aiuta a guarire dal suo stato maniaco-depressivo. In quella stessa stanza, la 27, ci sono in tutto una decina di ricoverati e vicino al letto di Franco hanno messo tre ragazzi dall’età media di venticinque anni.

Le cartelle mediche li definiscono oligofrenici, ovvero insufficienti mentali: Nino, Giulio e Marco. Giulio però non parla, è stato dichiarato muto anche nelle note del referto medico, pur avendogli diagnosticato organicamente la completa e normale capacità fonetica. Franco è lì ormai da otto giorni o forse più… In quel luogo il tempo passa lento, molto lento, scandito tre volte al giorno dal rumore del carrello dell’ausiliario che distribuisce il pasto e dell’infermiere che dà le medicine.

Mimmo Accardo


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