Roberto Piola è nato a Mantova nel 1950 in centro storico, per questo è attento alla storia della città e delle persone. Dopo un’attività manageriale, un’esperienza nel campo musicale e dello spettacolo è passato alla narrativa. Ha pubblicato un personale omaggio alla visita di papa Giovanni Paolo II a Mantova Quel giorno c’ero anch’io (Lui, 2016).

Cronache di un viaggiatore mantovano a cura di Roberto Piola
Introduzione
Tutto parte da un’agenda lasciata dal nonno (classe 1888) a un nipote ancora bambino, poi a lungo passata da un cassetto all’altro e infine dimenticata. Circa cinquant’anni dopo il nipote la ritrova e trova anche il tempo e la curiosità di mettersi a sfogliare quelle pagine con calma per la prima volta. Da qui l’idea di trascrivere a computer, parola per parola, il manoscritto del nonno.
Seguendo il racconto di una vita piuttosto comune ma narrata con estrema chiarezza il nipote ne diviene partecipe e rivive le esperienze provate dal nonno in un’epoca a lui sconosciuta. Il nonno, rappresentante di commercio nato e vissuto a Mantova, ha attraversato – apparentemente senza troppe scosse e difficoltà – entrambe le guerre del Novecento.
Il nipote, il quale sta per raggiungere l’età del nonno quando gli ha consegnato l’agenda, comincia però a dubitare sul racconto, che giudica fin troppo edificante, e si pone alcune domande sulla vera storia della sua famiglia. Scopre così che il manoscritto tramandatogli contiene soltanto una parte di verità, quella più piana, gradevole e consolante; insomma quella che, a giudizio degli adulti, non può procurare traumi né suscitare paure in un bambino. L’agenda non rivela infatti assolutamente nulla delle vicende terribili che hanno colpito la famiglia d’origine della nonna, i cui anziani genitori erano stati razziati a Bologna dai nazifascisti che li avevano inviati a morire nel campo di sterminio di Auschwitz.
La verità del tutto inattesa su questa atroce vicenda – accuratamente sottaciuta in famiglia per più di una generazione – si presenta quasi per caso al nipote, intento a curare con puntiglioso scrupolo alcune note da porre a corredo della pubblicazione del memoriale; è da un breve testo lasciato dall’anziano prozio Loris Goldstaub, cognato di nonno Guido, scoperto in Internet consultando un sito dedicato alla Shoah, che riesce finalmente a ricucire la storia del ramo ebraico della propria famiglia.
La vicenda che sta dietro alla pubblicazione del presente libro appare dunque emblematica di quella fitta rete di silenzi e di deliberate rimozioni che per un paio di generazioni ha in larga parte offuscato la memoria civile del nostro Paese. Dopo queste scoperte il libro passa dal racconto di una vita locale, a quello più ampio di una tragedia mondiale. Tocca ora alla generazione dei nipoti e dei pronipoti riscoprire da sé, facendosi strada attraverso indizi obliqui e rivelazioni postume, le verità autentiche lasciate cadere nell’oblio da chi era vissuto prima e riuscire a dare finalmente conto senza più infingimenti né amnesie di quel che avvenne realmente quando la Storia irruppe nel cuore “segreto” di molte famiglie sconvolgendo l’intero Paese.
Un Paese, il nostro, che per troppo tempo – come documenta l’agenda lasciata da nonno Guido – ha preferito dare di sé un’immagine pacificante e illusoria senza osare guardare in faccia la terribile realtà di quel che davvero è accaduto nelle case private degli italiani e nelle istituzioni pubbliche, specie negli anni cruciali seguiti all’emanazione delle leggi razziali e in quelli ancora più tragici dell’occupazione nazista. Un Paese vissuto, dalla Liberazione in poi, all’ombra dei suoi vuoti di memoria. Vuoti inveterati che solo una ricerca storica condotta con estremo scrupolo scientifico e senza indulgere ad alcun conformismo può finalmente riuscire a scalfire e in certi casi persino a colmare.
Ma quel che più ci stupisce è apprendere dalla lettura di questo libro assolutamente sincero che i silenzi in famiglia sulla tragica fine dei bisnonni materni del suo curatore non sono stati osservati solo da nonno Guido, che era di “razza gentile”, ma anche dal prozio Loris fratello di nonna Fedora e quindi come lei di origine ebraica.
Roberto Piola, scrupoloso curatore del volume, rievoca in una nota i suoi incontri da fanciullo a casa dell’anziano prozio, musicista e pittore. Questi, a lungo costretto a nascondere le proprie origini, mai ha voluto renderlo partecipe di storie di famiglia che temeva avrebbero potuto non solo turbarlo, ma dal suo punto di vista forse anche metterlo in pericolo.
Questi impenetrabili silenzi appaiono per molti aspetti simili a quelli che circondano in famiglia il giovane protagonista del romanzo di Grossman Vedi alla voce: amore (1986), un testo assolutamente esemplare sulla rimozione della memoria e sulla faticosa riconquista, da parte di un nipote, della verità storica intorno allo sterminio dei propri avi. Il curatore, scavando con ostinazione e tenacia dietro la reticente agenda che contiene le memorie del nonno, ha osato compiere un’operazione di verità assimilabile a quella compiuta dal piccolo Momik.
Ma adesso il compito passa ai lettori.
Giancorrado Barozzi
Mantova, 27 gennaio 2013