Stephanie Doherty è nata nel 1991. La lettura e la scrittura, insieme alla danza classica, sono le sue più grandi passioni. Ancora ricorda il primo libro che le ha regalato la mamma, obbligandola a esercitarsi a leggere; è stata poi lei a raccontare le storie agli altri, soprattutto al nonno paterno, che l’ha sempre sostenuta.
I romanzi di Harry Potter e la stesura di alcune fanfiction l’hanno fatta accostare, già da giovanissima, alla letteratura fantasy. La saga di Eira di Mirerava è nata principalmente dal bisogno di evadere da un periodo piuttosto difficile della sua vita.




Eira di Mirerava di Stephanie Doherty
Memento mori
Correvo a perdifiato per le strade del regno. L’aria fredda della notte mi sferzava il volto senza alcuna pietà; in più avevo la gola riarsa per la sete e ogni fibra del mio corpo bruciava per il dolore. Ciononostante continuavo la mia folle e disperata corsa. Dovevo nascondermi prima che lui o qualcuno dei suoi uomini mi trovassero, avrei raggiunto gli altri quando le acque si fossero calmate. La mia gente aveva bisogno di me, della loro guida. Dietro di me ormai non era rimasto più niente, solo una scia di morti.
L’urlo disperato di Kiran che mi implorava di fuggire e mettermi in salvo mi risuonava ancora nelle orecchie e scavava una voragine nel mio cuore. I miei occhi piangevano lacrime di sangue nel ricordare la terribile e dolorosa immagine che mi ero lasciata alle spalle dopo aver deciso di dare retta a quelle accorate parole: Kiran steso a terra e il suo ultimo grido, gli occhi che lentamente perdevano vitalità, la profonda ferita sul petto e la sua camicia candida che, rapidamente, era diventata color cremisi.
Il respiro mi si fece più affannoso per via dello sforzo e per la sofferenza che provavo. Pensai che quella battaglia aveva per sempre sancito il mio destino come regnante e come essere umano: in meno di una manciata di ore mi era stato tolto quasi tutto. Quasi, perché almeno si era salvata una piccola parte del mio popolo, la parte formata da coloro che non avevano partecipato alla battaglia. Si trovavano al sicuro sulle montagne, o almeno speravo fosse così.
Piombai in uno sconforto improvviso. Il nodo che già mi stringeva la gola divenne più intenso nel momento in cui i volti delle persone a me care, che conoscevo sin da quando ero bambina e che mi avevano accompagnata fino ad allora, si affacciarono nella mia mente sovrapponendosi l’uno all’altro in una sorta di bizzarro quadro confuso: Kiran, l’amore della mia vita; Joan, la mia madrina e mia più cara amica; Jeremiah, compagno di vita e apprendista di Joan; molti degli abitanti di Mirerava e infine i miei genitori, morti qualche anno prima. Quella notte, proprio com’era accaduto con mia madre e mio padre, avevo perso anche tutti gli altri; nessuno di loro era riuscito a sfuggire all’oscura sete di vendetta, alla pazzia e alla brama di potere di Rodney.
Altre lacrime, questa volta molto più copiose, iniziarono a offuscarmi il volto. Mi guardai intorno disorientata. Ero così scossa che a malapena riuscivo a capire dove mi trovassi. Solo un attimo dopo realizzai che ero in un vicoletto abitato da un paio di case vuote e mortalmente silenziose. Mi fermai appoggiandomi a una di queste, avevo bisogno di riprendere fiato soltanto per un minuto. Soprattutto avevo bisogno di calmarmi.
«Eccoti!» esclamò una voce improvvisa e familiare, roca e sgradevole, proveniente dal buio della viuzza.
Sobbalzai per il terrore, il cuore mi si fermò.
Stephanie Doherty