Thalia Ganotakis. Di origine greca, nata nel 1955 in Congo, ha condiviso con la sua famiglia gli avvenimenti cruciali del processo di indipendenza di Congo, Burundi e Rwanda. Si è poi trasferita a Bruxelles, dove ha conseguito il diploma di traduttrice. Dal 1976 è residente a Brindisi, dove ha sposato l’uomo che ha conosciuto in Africa durante l’adolescenza. Ha precedentemente pubblicato un libro illustrato di fiabe (Otto Fiabe, 2014), e l’autobiografia Malachite. Le lacrime degli avi (2018).

Invisibile come il pitone paziente come il leopardo di Thalia Ganotakis
Capitolo uno
13 novembre 1994,
Bruxelles, Aeroporto internazionale
Erano quasi le cinque e mezzo del mattino. A bordo del Boeing 347 della Air Sabena proveniente da Kigali i passeggeri appisolati si destavano svegliati dalle luci che all’improvviso si erano accese lungo il corridoio. Incominciava il frenetico andirivieni: chi si alzava per sgranchirsi le gambe; chi tentava di svincolarsi dalle poltrone scavalcando la fila per raggiungere i bagni; chi si faceva da parte per agevolare il passaggio. Qualche minuto più tardi seguiva l’annuncio delle assistenti di volo, determinate a ristabilire un certo ordine per poter passare con il carrello della prima colazione. Il lungo viaggio stava volgendo al termine nel sollievo generale.
Improvvisamente, interrompendo quel viavai, dagli altoparlanti echeggiò la voce rauca del comandante Jacky Renoir per il suo ultimo commiato, da protocollo in vista dell’imminente atterraggio.
«Signori e signore buongiorno, sono il comandante Renoir. Fra venti minuti saremo atterrati all’aeroporto internazionale di Zaventem dopo un volo di otto ore e quindici minuti. Spero abbiate fatto un buon viaggio. La temperatura esterna è di cinque gradi Celsius e il cielo è nuvoloso. Vi prego di mantenere le cinture allacciate fino all’arresto completo dei motori. Vi auguriamo una buona permanenza, sperando di ritrovarvi ancora a bordo delle nostre linee».
Decollato la sera precedente da Kigali, capitale del Rwanda, e dopo aver fatto scalo a Entebbe in Uganda, l’aereo ora aveva intrapreso la fase di discesa; man mano che perdeva quota addentrandosi nei nuvoloni scuri il velivolo sobbalzava per le turbolenze delle forti correnti.
Avvolta quasi tutto l’anno nelle nubi, Bruxelles è spesso flagellata da forti venti nordici e attraversata dalle intemperie; le fasi di atterraggio sono delicate ma per piloti incalliti come Jacky Renoir e Félix Vanloo quelle operazioni erano parte della solita routine di volo.
«Finalmente siamo a casa, Félix – disse il comandante Renoir rivolgendosi al collega – Ora sì che possiamo tirare un sospiro di sollievo! Non so se e quando sarà il nostro prossimo volo in Rwanda».
«Non credo che rivedremo Kigali tanto presto» rispose Félix Vanloo con l’aria di chi la sapeva lunga.
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