Il soffitto astronomico di Casa Provenzali

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Sandro Zannarini

Il soffitto astronomico di Casa Provenzali

Un codice celeste del Rinascimento

in pubblicazione il 25 settembre 2023
Edizione cartacea (prevendita)
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Il soffitto astronomico di Casa Provenzali. Il soffitto astronomico di Casa Provenzali, riemerso nel 2020 e restaurato nel 2021, si può ammirare a Cento, Ferrara, vicino a Corso del Guercino. L’edificio rinascimentale custodisce tesori astrologici, letterari e mitologici.

L’Autore attraverso l’analisi delle costellazioni offre una lettura inedita, accessibile e affascinante svelando i segreti celati nella rappresentazione astrale. Le illustrazioni xilografiche di Igino, del I secolo d.C., ne arricchiscono l’interpretazione iconografica.

«Il soffitto ligneo è una fedele rappresentazione del Poeticon Astronomicon di Igino, il progettista possiede grandi competenze in campo astronomico».

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Il soffitto astronomico di Casa Provenzali, riscoperto nel 2020 e magnificamente restaurato nel 2021, si presenta come un vero e proprio gioiello rinascimentale situato a Cento, nella pittoresca città di Ferrara. Un autentico scrigno di tesori astrologici, letterari e mitologici che l’autore, Sandro Zannarini, svela con passione e competenza in questa affascinante opera.

Attraverso una meticolosa analisi delle costellazioni e dei loro significati simbolici, l’autore ci conduce in un viaggio emozionante attraverso le stelle e le loro connessioni con la mitologia, la letteratura e l’arte.
L’approccio accessibile e coinvolgente di Zannarini rende questa lettura adatta sia agli appassionati di astronomia che a coloro che desiderano scoprire le profonde connessioni tra il cielo stellato e la cultura umana.

Inoltre l’inclusione di illustrazioni xilografiche tratte dal Poeticon Astronomicon di Igino, datate al I secolo d.C., aggiunge un ulteriore livello di profondità all’interpretazione iconografica del soffitto astronomico. Tali illustrazioni storiche arricchiscono il contesto e permettono di immergersi ancor di più nella ricchezza culturale e simbolica di questa meravigliosa rappresentazione artistica.

Sandro Zannarini, laureato in Astronomia presso l’Università degli studi di Bologna, trasmette la sua passione e la sua conoscenza attraverso la didattica, essendo un insegnante di Fisica presso il Liceo delle scienze applicate di Cento di Ferrara. Il suo impegno nell’approfondire e condividere la conoscenza astrale rende questa opera una risorsa preziosa per chiunque voglia esplorare il connubio tra le stelle e la cultura umana.


Il soffitto astronomico di Casa Provenzali. Biografia di Sandro Zannarini

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Il soffitto astronomico di Casa Provenzali di Sandro Zannarini

Introduzione

Il soffitto astronomico di Casa Provenzali a Cento, riemerso dall’oblio nel 2020 e riportato al suo antico splendore in seguito al restauro effettuato nel 2021 dopo la rimozione del controsoffitto che l’ha occultato per oltre un secolo, si è dimostrato a un più attento studio un meraviglioso crogiolo di arte, astronomia e letteratura.
Limitarsi ad affermare che il soffitto ligneo raffiguri le quarantotto costellazioni tolemaiche è alquanto semplicistico e riduttivo rispetto al suo vero significato iconologico. Il ciclo pittorico di Cento si è dimostrato unico nel suo genere essendo chiaramente una rappresentazione astronomica che non ha nulla a che fare con i più importanti cicli astrologici italiani, tra i quali sicuramente il più noto è il Salone dei mesi di palazzo Schifanoia a Ferrara.
L’ideatore del ciclo pittorico
Per presentare una descrizione razionale del ciclo centese occorre fare alcune riflessioni profonde, la prima delle quali è chiedersi chi può esserne l’ideatore. Fin dal primo momento che ho visto la Sala delle costellazioni ho dubitato che l’artista o gli artisti che lo avevano raffigurato fossero anche i progettisti dell’impianto. L’ideatore, di cui ignoriamo il nome, è sicuramente un erudito, forse un docente dello studio bolognese con profonde conoscenze astronomiche; da un’ipotesi – non fondata su documenti certi – potrebbe trattarsi di Luca Gaurico lettore di astronomia dell’ateneo bolognese della prima metà del Cinquecento. L’identificazione in Luca Gaurico non è casuale ma si basa sulla considerazione che forse riveste un ruolo principale nella descrizione del soffitto astronomico, come vedremo in seguito comparandolo con l’Astronomicon di Marco Manilio del i secolo d.C. Infatti è di Gaurico una famosa orazione composta a favore dei sostenitori dell’astrologia che cita gli antichi scrittori latini come Manilio.
Le fonti bibliografiche
Una seconda domanda cui è necessario rispondere è quale sia la fonte da cui gli artisti possono aver attinto per eseguire le iconografie delle costellazioni. Le immagini delle costellazioni zodiacali sono le più conosciute e rappresentate fin dal primo Medioevo; ne sono un esempio gli affreschi nel Palazzo della Ragione di Padova attribuiti a Giotto, che all’inizio del xiv secolo decorò le volte con motivi astrologici. Parimenti conosciamo la controparte iconografica anche di qualche costellazione extrazodiacale: una delle rappresentazioni più antiche è l’Atlante Farnese, databile al ii secolo e rinvenuto alle Terme di Caracalla a Roma intorno al 1546.
Raffigurazioni di costellazioni extrazodiacali più antiche si trovano nei trattati arabi, di cui l’autore più importante è l’astronomo persiano Abd al-Rahman al Sufi, il quale nel 964 compose un saggio sulle cosiddette “stelle fisse” (Descrizione delle stelle fisse o Libro delle stelle fisse) unendo gli esaurienti cataloghi stellari di Tolomeo contenuti nell’Almagesto (pubblicato nel 150 d.C.) alle tradizionali costellazioni arabe. Ciò che non esiste ancora nel primo Rinascimento è un vademecum in cui sono rappresentate tutte le illustrazioni delle quarantotto costellazioni.
L’ultima riflessione è di carattere propriamente astronomico, poiché il susseguirsi delle costellazioni nei vari cassettoni del soffitto non rispecchia rigorosamente la loro localizzazione sulla sfera celeste e nemmeno i cicli mitologici rappresentati sono rigorosamente attinenti ai miti a loro associati. Alla luce di queste considerazioni si è reso necessario ipotizzare altre possibili fonti che non fossero rigorosamente astronomiche utilizzate dalle maestranze che lavorarono a Casa Provenzali. Tali fonti potevano essere i poemi latini di Igino e di Manilio. In particolare l’Astronomicon (come dimostrato Warburg) di Manilio fu d’ispirazione a Pellegrino Prisciani per la rappresentazione della fascia superiore del Salone dei mesi a palazzo Schifanoia contenente gli dei che sovraintendono ai segni zodiacali.
Libero dal giogo scientifico in quanto astronomo del xxi secolo, osservando il soffitto ligneo con gli occhi di un astrologo del Rinascimento mi sono reso conto di ciò che i progettisti volevano rappresentare. Le stelle al momento visibili nel soffitto astronomico di Casa Provenzali sono 601. Un primo spiraglio si è aperto quando lo studio delle astrotesie presenti nelle varie costellazioni mi ha fornito la prova che la fonte si trovava nel Poeticon Astronomicon di Igino. È proprio la descrizione minuziosa che Igino dà del numero di stelle e della loro distribuzione all’interno delle costellazioni che ha confermato la mia ipotesi. Il poema di Igino del i secolo d.C. era molto conosciuto nel Rinascimento ed era considerato il testo di astronomia che s’insegnava nel quadrivio della scolastica. Il Poeticon Astronomicon rimase nella sua forma letteraria fino al 1482, quando a Venezia il tipografo tedesco Erhard Ratdolt lo arricchì con le illustrazioni delle quarantasei costellazioni. Rispetto alle tradizionali quarantotto costellazioni tolemaiche nell’edizione del 1482 mancano le costellazioni del Cavallino e della Corona Australe, mentre la costellazione del Lupo è unita a quella del Centauro. Non sappiamo chi sia realmente l’ideatore delle illustrazioni nel Poeticon Astronomicon del 1482, però sappiamo dagli appunti di Ratdolt che nel 1476 creò una società con altri due tedeschi Bernhard Maler di Augusta – incisore e stampatore, definito pictor e conosciuto a Venezia con il nome di Bernardo il Pittore – e Peter Löslein di Langencen (attuale Langenzenn), bavarese, chiamato corrector ac socius.
Il sipario si è finalmente alzato sul soffitto astronomico di Casa Provenzali svelando non solo l’autore della meravigliosa scenografia, ma anche il suo sceneggiatore: il poeta latino Caio Julio Igino.


Il soffitto astronomico di Casa Provenzali


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in pubblicazione il 7 agosto 2023
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Memorie di un programmatore. L’Autore narra la storia personale e collettiva della propria comunità attraversando i momenti significativi del Paese dal boom economico del dopoguerra, al periodo della contestazione, fino all’avvento dell’era informatica.
Descrive l’alluvione del Polesine, che distrugge i raccolti e genera debiti con le banche. Il dolore e la miseria dilagano e molti emigrano in cerca di una vita migliore, in Brasile o in Piemonte.
Il libro racconta anche i cambiamenti sociali e tecnologici dell’epoca come l’avvento dei dischi per conservare i dati e l’introduzione dei computer nelle aziende come la Barbero. L’Autore descrive inoltre la sua esperienza presso IBM, dove la sua capacità di programmazione viene apprezzata e utilizzata nello sviluppo di nuove applicazioni.
Sono istantanee ancora presenti nella memoria, ritratti famigliari e sociali di un eccezionale testimone della storia del Paese.

«Nel Polesine l’alluvione ha distrutto ogni possibilità di raccolto e con il passare degli anni l’unica cosa che è cresciuta sono stati i debiti con le banche. Molti polesani dicono che peggio di così non può andare e con tale convinzione emigrano con la speranza di una vita migliore.».

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Scopri la storia avvincente e toccante di Graziano Natale Portesan nel libro Memorie di un programmatore. L’Autore conduce i lettori attraverso i momenti significativi che hanno plasmato la sua comunità e l’Italia nel corso dei decenni.

Dall’epoca del boom economico del dopoguerra alla tumultuosa era della contestazione e fino all’arrivo dell’era informatica, Portesan racconta le trasformazioni sociali e tecnologiche che hanno segnato il Paese. Un evento fondamentale nella sua narrazione è l’alluvione del Polesine, che ha portato devastazione, distruzione dei raccolti e debiti con le banche. Questo evento tragico ha spinto molti a cercare una vita migliore in luoghi come il Brasile o il Piemonte.

Il libro getta uno sguardo attento anche ai cambiamenti tecnologici, come l’avvento dei dischi per la conservazione dei dati e l’introduzione dei computer nelle aziende, come nel caso della Barbero. Portesan condivide la sua esperienza presso IBM, dove la sua abilità di programmazione è stata apprezzata e utilizzata nello sviluppo di nuove applicazioni.

Attraverso le parole dell’Autore queste istantanee del passato prendono vita offrendo un quadro famigliare e sociale di un testimone straordinario della storia del nostro Paese.

Memorie di un programmatore è un’opera che cattura l’attenzione e le emozioni del lettore offrendo uno sguardo autentico e coinvolgente sulla storia e sulle esperienze di una persona straordinaria.

Lasciati trasportare in un affascinante racconto che unisce la dimensione personale all’epopea collettiva di un’intera nazione.


Memorie di un programmatore copertina

Memorie di un programmatore copertina

Memorie di un programmatore di Graziano Natale Portesan

Introduzione. Ricordo di mia madre

È il 23 dicembre, giorno del mio compleanno. Mia sorella Sandra mi chiama al cellulare non per farmi gli auguri ma per dirmi che mamma è peggiorata e chiedermi di passare a farle visita; da quando l’Alzheimer si è preso la sua mente, vive nella casa di riposo dove Sandra opera come oss, scelta praticamente obbligata per garantirle un’assistenza continua e qualificata.

Chiedo se devo attrezzarmi per trascorrere la notte con lei.

«No, sono di turno. Tu passa solo per un saluto, anche se probabilmente non se ne accorgerà nemmeno».

Salgo in auto, la casa di riposo dista quindici chilometri dalla mia e ricordo il racconto della mamma a proposito del suo secondo viaggio a San Giovanni Rotondo. È stata donatrice Avis (medaglia d’argento, mancavano poche donazioni per ottenere quella d’oro). Ha partecipato a tutte le gite dell’associazione per visitare i santuari di mezzo mondo, però padre Pio le è rimasto nel cuore. Mentre sentiva il peso degli anni, nell’ultimo incontro durante una preghiera ha chiesto come avrebbe concluso la propria vita. «Non preoccuparti, quando sarà l’ora te ne andrai con la benedizione del Signore» è stata la risposta di padre Pio.

Mi viene spontaneo chiamare don Gianni, con il quale ho un ottimo rapporto, parroco di Canale. Strani scherzi della vita: sono nato a Canale di Ceregnano a Rovigo e vivo a Canale di Cuneo, due paesi con lo stesso nome ma lontani quasi quattrocento chilometri. Gli chiedo se può dedicarmi qualche ora per far visita a mia mamma: risponde che ha tempo, posso passare in canonica a prenderlo.

Mezz’ora dopo entriamo nella camera di mia madre. Lei ci guarda entrambi e forse capisce tutto perché vedo il suo viso rilassarsi e scorgo una luce diversa nei suoi occhi. Don Gianni le impartisce la benedizione degli Olii Santi, al termine della quale mi resta la sensazione che mamma non aspetti altro. Morirà un mese dopo con il sorriso sulle labbra fra le braccia di sua figlia Sandra.

Sulla strada del ritorno don Gianni mi guarda e con un cenno d’intesa chiede: «Presidente, sarò indiscreto, ma posso chiederle alcune cose?».

«Don perché mi chiami presidente e mi dai del lei?! Non siamo mica in Consiglio. Comunque chiedi pure».

«Come presidente della casa di riposo di Canale ti firmi con il nome di Natale, mentre gli amici ti chiamano Graziano. Questa sera poi ho notato che porti lo stesso cognome di tua mamma: come mai?».

«Don è una storia lunga, ma se mi inviti in canonica per un caffè e se hai voglia di ascoltare… – poi aggiungo – E lo sai come la penso: non sono affatto ateo, ma in chiesa mi vedi poche volte. Ti devo ringraziare di cuore per ciò che stasera hai fatto per mia madre e per me. Ci vediamo alla casa di riposo per gli auguri di buon Natale». Don Gianni mi guarda, sorride, mi tende la mano e chiede: «Presidente quando mi racconta il resto?».


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Sospeso tra il Paradiso e la Terra

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Sospeso tra il Paradiso e la Terra. Dopo un terribile incidente Gioacchino si ritrova in una dimensione sconosciuta di fronte a Dio. Per la sua bontà, ottiene prima l’accesso al Paradiso e poi di tornare alla vita terrena per cercare un senso più profondo.
Attraverso l’amore e l’alleviamento delle sofferenze cercherà di chiudere il cerchio della sua esistenza e si trasferirà in un convento nel Sud Italia.
Un’avventura emozionante tra vita, morte e la ricerca di se stessi.

«Ho atteso la fine come una liberazione e non come una dannazione».


Fantaramus autore biografia

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Sospeso tra il Paradiso e la Terra di Fantaramus

Capitolo 1


Giorno dopo giorno sono arrivato alla soglia dei settanta. E potrei vivere bene ancora diversi anni se non fosse che mi trovo in un letto di ospedale, solo e gravemente malato. I sanitari mi hanno prognosticato ancora pochi mesi di vita; credo proprio che potrebbero essere le ultime albe che vedrò, concludendo così in questa valle di lacrime chiamato mondo la mia tormentata esistenza, che nonostante tutto ho amato aspettandone sempre con sollievo la fine.
È iniziato tutto da un banalissimo incidente stradale, che mi ha portato dapprima in una dimensione astratta, sconosciuta; e termina infine con questi ultimi giorni che chiudono il metaforico cerchio della vita, la mia esistenza. Condivido questo racconto per lasciarlo ai posteri prima che sia troppo tardi.
Il mio nome è Gioacchino Davasio, nacqui nel 1950 a Pesaro e vissi sempre nelle Marche. Abitavo in campagna e i miei genitori lavoravano con fatica quella terra che normalmente rendeva poco: metà del raccolto andava ai padroni del terreno, come stabilivano le regole della mezzadria. Non era facile tirare avanti ma in casa regnava armonia e serenità, regalo di una vita semplice; trascorsi l’infanzia in quella modesta ma accogliente abitazione. A sei anni frequentai le scuole del paese, feci le elementari ma poi non volli passare alle medie, non mi piaceva lo studio e a quei tempi la frequenza scolastica non era obbligatoria come divenne invece qualche anno dopo. I miei genitori insistettero non poco per convincermi a cambiare idea, ma ero testardo come un mulo e non volli sentir ragioni. Con il tempo mi sono assai pentito di quella decisione, ma da bambini si è troppo superficiali e studiare per me non era propriamente il gioco più bello del mondo. In seguito la mia famiglia si trasferì in un sito non lontano dove si poteva coltivare meglio e di più. Anch’io, oramai cresciutello, per quanto possibile contribuivo aiutando papà nei campi e così nel nuovo podere la nostra situazione economica migliorò sensibilmente. A quei tempi al bar si parlava di sport, donne e motori ma si discuteva spesso sul fatto che senza studi non si poteva fare neppure lo spazzino. E così intorno ai vent’anni tornai un poco a studiare per un corso serale di meccanica, di cui ero appassionato, conseguendo un diploma che mi sarebbe servito alcuni anni dopo per trovare lavoro in un’azienda che produceva macchine utensili. Lavorai lì i primi anni, per poi intraprendere la mansione di rappresentante e venditore delle macchine che fabbricavamo. Il nuovo inquadramento professionale, oltre a un aumento di stipendio, mi permetteva anche di viaggiare lungo lo Stivale per piazzare macchine industriali. Quanto amavo guidare!
Poi la mia esistenza ha proseguito con periodi più o meno facili, che però ho superato sempre al meglio con la mia forza di volontà; perché la vita è sempre e comunque degna di essere vissuta, visto che ne possediamo una sola. Io ho trascorso la mia sempre intensamente fra soddisfazioni – non molte per la verità – e delusioni o più esattamente sbagli, quelli sì in abbondanza, ma tant’è che l’esistenza umana null’altro è che una fucina per plasmare e temprare le persone. Bisogna comunque saper accettare ciò che il destino offre, e se lo afferma uno che si trova in un letto d’ospedale – non per dormire o fare altro di più piacevole – ci si deve credere. L’eventualità concreta di andare all’altro mondo non la temo affatto, anzi direi che è attesa con una certa impazienza. Non si tratta del classico rifiuto della vita dovuto magari a una sopraggiunta crisi esistenziale e non penso neppure di essere uscito di senno; la sorte nonostante tutto mi ha dato moltissimo, sarebbe l’unica maniera per continuare un viaggio fantastico incominciato tanti anni or sono e mai terminato. Quale persona sana di mente aspetta e desidera la morte, sapendo bene che è una delle poche certezze della vita? Lo so bene, ma è difficile comprendere ciò che voglio raccontare senza conoscere dal principio la mia storia, che è tanto unica quanto rara poiché nessun’altra persona al mondo ha vissuto lo stesso.


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