Sabrina pinna
Il mostro che ho nella testa
Prefazione di Chiara Canu
Edizione cartacea
Edizione digitale
Il mostro che ho nella testa. Un grande buio offusca la mia mente: il “mostro” ti chiamo io, distorci la realtà, con mille artigli laceri ogni certezza e mi costringi alla lotta tra il reale e l’artefatto. Il mio corpo sotto l’effetto dei farmaci si deforma e non si capisce se vivi solo nella mia testa, perché lo specchio ti mostra anche da fuori.
Questa è la mia malattia, la depressione, la solitudine, il buio. Da qui riparto perché ho pensato spesso di poter fare il viaggio da sola e ogni volta invece facevi capolino da un ricordo, da un odore o più semplicemente passavi e mi salutavi illudendomi di aver abbandonato la mia mente. Invece no: ero io che ti tenevo per mano.
L’edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull’autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.




Il mostro che ho nella testa di Sabrina Pinna
Lettera a mio padre
Quando sei arrivato ero piccola, vivevo in una famiglia modesta, avevo due sorelle più grandi, desideravo tanto il loro amore, l’unicità; ma ero piccola rispetto a loro, così innamorate l’una dell’altra, chiuse in un grande cerchio invalicabile.
Le guardavo spesso con grande malinconia, avrei tanto voluto far parte anch’io di quel cerchio magico, ma mi sentivo diversa già allora.
Studiavano, cantavano, parlavano come avessero passato assieme mille e mille vite; mentre io giocavo ancora con la mia bambola dalle trecce rosse, nel giardino sotto la grande pianta dell’albicocco, dove mi piaceva stare seduta sulla terra nuda a costruire case con le foglie che cadevano leggere.
Stavo lì, la schiena appoggiata al grande tronco mi dava sicurezza e gli insetti che passavano erano miei amici.
Erano così belle e so che mi volevano un gran bene, a modo loro, ma al tempo sentivo solo un gran senso di solitudine.
Giorno dopo giorno la solitudine si trasformò in malinconia e tu sei arrivato silenzioso a porgermi ciò che in apparenza mi mancava, con grande gentilezza ed eleganza ti sei proposto in alternativa alla realtà. Quale errore commisi il giorno in cui accettai la tua amicizia!
Un grande buio offusca la mia mente, ma non abbastanza da renderla incapace di credere nella luce: il “mostro” ti chiamo io, distorci la realtà con i tuoi mille artigli capaci di lacerare ogni certezza e costringermi a una lotta possente tra il reale e l’artefatto.
Questa è la mia malattia, la depressione, la solitudine, il buio.
Da qui riparto, perché ho pensato spesso di poter fare il viaggio da sola e ogni volta invece facevi capolino da un ricordo, da un odore o più semplicemente passavi e mi salutavi illudendomi di aver abbandonato la mia mente. Invece no: ero io che ti tenevo per mano.
Per questo che ti trasporto sulla carta, per darti confini in cui sarai costretto a restare per sempre, dei limiti che nella testa non esistono.
Creerò un luogo tutto per te e lì rimarrai, la mia vulnerabilità sarà conclamata ma non temo il giudizio, sono stata già condannata e uccisa tante di quelle volte che la morte, anche lei, è diventata mia amica.
Vivi in ogni cellula del mio corpo e della mia anima. Continui a mettermi in ginocchio, mi tieni la testa bassa. Ancora una volta provo a rialzarmi, mi hai costretto per così tanto tempo che non ricordo neanche più quando sei arrivato. Quante lacrime righeranno ancora il mio viso ormai liso dal tempo e dalla fatica? Sei entrato silenzioso nella mia testa ed eri come un amico rassicurante, mi hai avvolto nel tuo grande mantello nero. Avevi braccia grandi, pensavo fosse consolazione e invece sei riuscito a innestare in me le tue lusinghe, lasciando il mondo fuori. Eri così sicuro delle tue azioni, e io cosi piccola e fragile da soccombere.