Giorgio Maggioni
Più badili meno tastiere
Realtà, realtà mista, realtà virtuale
Edizione cartacea
Edizione digitale
Più badili meno tastiere. Una comunicazione sempre più virtuale e un modo di lavorare sempre più digitale e automatizzato ci hanno privati di contatti umani fondamentali: l’Autore rivendica con forza il diritto di tornare a una società in cui le relazioni umane autentiche e il lavoro manuale possano assumere il giusto valore.
L’alternativa è: «meno strumenti digitali tra le mani» a favore di maggiori contatti e più concretezza, per ricucire lo strappo con la natura causato da una esagerata tecnologia, giustificata a qualunque prezzo.
L’edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull’autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.




Più badili meno tastiere di Giorgio Maggioni
Come sono cambiate le cose da quando abbiamo cominciato a comunicare, malgrado alcuni utilizzino ancora segni e grugniti
Una grotta buia, un animale ucciso durante la caccia, un gruppo di uomini che osservano, emettono suoni disarticolati, gesticolano intorno a un fuoco che non bisogna lasciar spegnere e che illumina, scalda, cuoce. Così mi immagino i primi segni di un tentativo di comunicazione.
A parte il fuoco e qualcuno che cucina, lo scenario in alcune aziende non è affatto cambiato. Graduati manager “faccio tutto io” emettono ancora suoni disarticolati, solo che in questo caso hanno in mano uno smartphone e non riescono a inserire un allegato.
Ma torniamo seri… Possiamo immaginarlo così, senza sbagliare troppo, il contesto in cui nacque la comunicazione nel mondo preistorico, quando uno di questi uomini si alzò e tracciò sulla parete della roccia segni ancora oggi visibili in alcuni siti, raffiguranti scene di caccia. Probabilmente quando un meteorite cancellerà l’uomo dalla faccia del pianeta i prossimi visitatori rinverranno lo smartphone di uno di questi grandi manager e di quel che troveranno al suo interno non ne sarei affatto sereno.
Perché farlo? Forse per un rito propiziatorio come ipotizzato dagli antropologi, ma di certo anche per comunicare con il gruppo rendendo tutti partecipi della medesima situazione, condividendo i risultati di un’azione determinante per la sopravvivenza del gruppo, non solo del singolo.
È dal bisogno di mettere in comune, di con-dividere, che è nata la necessità di trovare una serie di suoni prima e simboli poi che favorissero lo scambio di idee, la socializzazione. L’homo sapiens sapiens ha raccolto i frutti dei suoi antenati e ha realizzato uno degli strumenti più potenti dell’inventiva umana: il linguaggio. Capisco che ora direte che la diffusione purtroppo non ha ancora raggiunto l’intero pianeta, ma con il tempo sono sicuro che avverrà. È solo grazie a esso, nelle sue innumerevoli forme, che il progresso si è realizzato attraversando nell’arco di cinquemila anni tutti i continenti conosciuti per arrivare oggi alla fantascientifica ipotesi di lanciare messaggi nello spazio destinati ai possibili abitanti di altri pianeti, di altre galassie.
Nessun animale eccetto l’essere umano ha saputo elaborare un linguaggio così potente, flessibile ed economico: basti pensare che gli elementi base da apprendere in una lingua indoeuropea come la nostra variano da venti a trenta, e con essi possiamo costruire infinite combinazioni di parole dotate ciascuna di un proprio significato.
Una semplice associazione di suoni determina l’esistenza di un significante, l’associazione di suoni che rimanda a un elemento astratto (se dico pane chiunque mi ascolti capirà ciò che intendo, pur non pensando a una specifica pagnotta) a cui corrisponde un significato legato a un elemento preciso e concreto (sul tavolo c’è una baguette, che solo nella specifica situazione corrisponde alla richiesta). Ferdinand De Saussure, linguista e semiologo svizzero, ha fatto scuola, ha aperto la strada alla linguistica successiva. Per sua fortuna è morto nel 1913 e così facendo si è risparmiato una serie di termini diventati consueti che nulla hanno a che fare con il discorso serio che stavamo facendo prima: da ti lovvo a drinkare per passare da ci facciamo l’apericena a ti mollo perché ho una call. Vi assicuro che sembra un riassunto della pagina Il Milanese Imbruttito, ma se si va in aziende in cui la volontà di apparire la fa da padrone capita di sentire veramente queste affermazioni.
Così probabilmente è nato il linguaggio per comunicare, evitando di dover ogni volta avere un referente da indicare con il dito per poter essere capiti. Ma con il linguaggio si può comunicare ben altro, tutto ciò che gode del privilegio dell’astrazione, dell’assenza di un riferimento concreto. Come potrei dire “ti amo” (nel nostro caso ti lovvo; a cui è facilmente intuibile la risposta: «Ok, speriamo che la vecchia non svalvoli! Ti lovvo ank’io J») senza il filtro linguistico, per far comprendere che sono triste o preoccupato o ansioso senza usare le parole?
Comunicare ci ha permesso di condividere le conoscenze, di tramandarle alle generazioni successive in modo che nulla di quanto precedentemente acquisito andasse disperso. In realtà io che sono di una generazione con qualche pelo di barba bianca sono abituato a tradurre la frase menzionata con: «Ok, speriamo che mia mamma non faccia storie. Ti amo anche io», ma sono sempre curioso di capire perché si debba scrivere “ank’io” al posto di anch’io oppure “x’” al posto di perché, ma un suo senso ce l’avrà di sicuro.