Sospeso tra il Paradiso e la Terra

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Fantaramus

Sospeso tra il Paradiso e la Terra

L’ultima ricerca di sé

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Sospeso tra il Paradiso e la Terra. Dopo un terribile incidente Gioacchino si ritrova in una dimensione sconosciuta di fronte a Dio. Per la sua bontà, ottiene prima l’accesso al Paradiso e poi di tornare alla vita terrena per cercare un senso più profondo.
Attraverso l’amore e l’alleviamento delle sofferenze cercherà di chiudere il cerchio della sua esistenza e si trasferirà in un convento nel Sud Italia.
Un’avventura emozionante tra vita, morte e la ricerca di se stessi.

«Ho atteso la fine come una liberazione e non come una dannazione».


Fantaramus autore biografia

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Sospeso tra il Paradiso e la Terra di Fantaramus

Capitolo 1


Giorno dopo giorno sono arrivato alla soglia dei settanta. E potrei vivere bene ancora diversi anni se non fosse che mi trovo in un letto di ospedale, solo e gravemente malato. I sanitari mi hanno prognosticato ancora pochi mesi di vita; credo proprio che potrebbero essere le ultime albe che vedrò, concludendo così in questa valle di lacrime chiamato mondo la mia tormentata esistenza, che nonostante tutto ho amato aspettandone sempre con sollievo la fine.
È iniziato tutto da un banalissimo incidente stradale, che mi ha portato dapprima in una dimensione astratta, sconosciuta; e termina infine con questi ultimi giorni che chiudono il metaforico cerchio della vita, la mia esistenza. Condivido questo racconto per lasciarlo ai posteri prima che sia troppo tardi.
Il mio nome è Gioacchino Davasio, nacqui nel 1950 a Pesaro e vissi sempre nelle Marche. Abitavo in campagna e i miei genitori lavoravano con fatica quella terra che normalmente rendeva poco: metà del raccolto andava ai padroni del terreno, come stabilivano le regole della mezzadria. Non era facile tirare avanti ma in casa regnava armonia e serenità, regalo di una vita semplice; trascorsi l’infanzia in quella modesta ma accogliente abitazione. A sei anni frequentai le scuole del paese, feci le elementari ma poi non volli passare alle medie, non mi piaceva lo studio e a quei tempi la frequenza scolastica non era obbligatoria come divenne invece qualche anno dopo. I miei genitori insistettero non poco per convincermi a cambiare idea, ma ero testardo come un mulo e non volli sentir ragioni. Con il tempo mi sono assai pentito di quella decisione, ma da bambini si è troppo superficiali e studiare per me non era propriamente il gioco più bello del mondo. In seguito la mia famiglia si trasferì in un sito non lontano dove si poteva coltivare meglio e di più. Anch’io, oramai cresciutello, per quanto possibile contribuivo aiutando papà nei campi e così nel nuovo podere la nostra situazione economica migliorò sensibilmente. A quei tempi al bar si parlava di sport, donne e motori ma si discuteva spesso sul fatto che senza studi non si poteva fare neppure lo spazzino. E così intorno ai vent’anni tornai un poco a studiare per un corso serale di meccanica, di cui ero appassionato, conseguendo un diploma che mi sarebbe servito alcuni anni dopo per trovare lavoro in un’azienda che produceva macchine utensili. Lavorai lì i primi anni, per poi intraprendere la mansione di rappresentante e venditore delle macchine che fabbricavamo. Il nuovo inquadramento professionale, oltre a un aumento di stipendio, mi permetteva anche di viaggiare lungo lo Stivale per piazzare macchine industriali. Quanto amavo guidare!
Poi la mia esistenza ha proseguito con periodi più o meno facili, che però ho superato sempre al meglio con la mia forza di volontà; perché la vita è sempre e comunque degna di essere vissuta, visto che ne possediamo una sola. Io ho trascorso la mia sempre intensamente fra soddisfazioni – non molte per la verità – e delusioni o più esattamente sbagli, quelli sì in abbondanza, ma tant’è che l’esistenza umana null’altro è che una fucina per plasmare e temprare le persone. Bisogna comunque saper accettare ciò che il destino offre, e se lo afferma uno che si trova in un letto d’ospedale – non per dormire o fare altro di più piacevole – ci si deve credere. L’eventualità concreta di andare all’altro mondo non la temo affatto, anzi direi che è attesa con una certa impazienza. Non si tratta del classico rifiuto della vita dovuto magari a una sopraggiunta crisi esistenziale e non penso neppure di essere uscito di senno; la sorte nonostante tutto mi ha dato moltissimo, sarebbe l’unica maniera per continuare un viaggio fantastico incominciato tanti anni or sono e mai terminato. Quale persona sana di mente aspetta e desidera la morte, sapendo bene che è una delle poche certezze della vita? Lo so bene, ma è difficile comprendere ciò che voglio raccontare senza conoscere dal principio la mia storia, che è tanto unica quanto rara poiché nessun’altra persona al mondo ha vissuto lo stesso.


Oltre l’ombra di un sogno


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