Damiano Davide
Viaggio in Texas
Edizione cartacea
Edizione digitale
Viaggio in Texas. Ha trent’anni, è in crisi e da tempo desidera mettere piede negli Stati Uniti. Basta una telefonata di vecchi amici di una band folk-bluegrass e parte per il Texas.
Houston, Austin, Dallas, il confine con il Messico, San Angelo, Amarillo, il Canyon di Palo Duro e l’insperata Route 66 sono le tappe di quest’avventura. La musica popolare americana accompagna il furgone sgangherato lungo una linea d’asfalto che attraversa l’immensità del deserto. Ci si innamora di questa terra, in cui il fascino dei cowboy si lega alla tragica realtà delle minoranze. Ci si innamora, infine, dell’idea stessa del viaggio.
L’edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull’autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.

Viaggio in Texas di Damiano Davide
Premessa
La verità è l’unica cosa che conta. Alla fine della giostra non è il successo e nemmeno la felicità. La verità è l’unica compagna che vorremo sempre vicino, fino alla fine. Cos’è la verità? Io non lo sapevo e non sono sicuro di saperlo neanche adesso. Il problema è proprio questo, passiamo la vita a rincorrere chissà quali traguardi senza conoscere il significato della parola più importante. La verità ha bisogno anzitutto di fede, si potrebbe dire che la verità spesso si nasconde dietro la realtà. Quella è facile, la conoscono tutti ed è meno interessante di quanto si crede. La realtà è fredda, non necessita di esperienza e per questo vale poco.
Ciò che conta, credo, non è il successo, che come viene detto in uno scanzonato road movie di qualche anno fa: «È l’unico dio che il mondo venera» (Elizabethtown, 2005). Il successo nasconde volti oscuri ed è impossibile domarlo completamente, è il risultato di un patto con il diavolo. A quale costo, però.
Ecco, probabilmente cerchiamo di rincorrere la felicità. Prima o poi ci rendiamo conto che si tratta di qualcosa di molto piccolo e di assolutamente effimero, eppure siamo fermamente convinti che sia possibile raggiungerla o addirittura conservarla.
La concezione dell’esistenza cristiana secondo cui la vita terrena è la preparazione all’eternità e a ciò che verrà dopo la morte ci ha portato a credere che l’essere umano è in grado di sopportare qualsiasi dolore e qualsiasi sofferenza in virtù di un futuro migliore. Come ricorda Galimberti, tutto il mondo occidentale è sostenuto da quell’inconscio collettivo che è il cristianesimo ed è quindi insita nella nostra società la promessa di un futuro sempre e comunque positivo: il passato è peccato, il presente è redenzione e il futuro è salvezza.
Con questa promessa di eternità fatta di gioia e di serenità, piena di un amore infinito – che tra l’altro non ammette nemmeno la sua parte più importante che è la carnalità – si corre il rischio di sminuire la porzione più preziosa della nostra esistenza. Sembra quasi inutile dirlo, eppure ce ne dimentichiamo troppo spesso: siamo esseri mortali. Non esistevamo prima della nostra nascita e non esisteremo dopo la nostra morte; il tempo tra questi due estremi così vicini tra loro è la vita. Di ciò che verrà dopo, purtroppo, non abbiamo certezza.
È anche vero – insisto con questa parola di proposito – che non siamo fatti allo stesso modo. Nel nostro corso esistenziale attraversiamo diverse fasi biologiche che portano cambiamenti enormi. Ciò che cambia, in effetti, è l’idea stessa dell’essere felice ed è una cosa che accade di continuo, proprio mentre ci affanniamo nel raggiungerla. La felicità è una vetta così stretta e inospitale che non può essere abitata per molto tempo.
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