Nadia Silistrini
I fantasmi non invecchiano
Edizione cartacea
Edizione digitale
«Non dovete temere il passato, e neppure il futuro. Che cosa abbiamo tra le mani, signora, se non il momento che scorre come l’onda limpida in un fiume?»
I fantasmi non invecchiano. Durante un viaggio in Francia Valeria incontra in un castello il fantasma di Noir de Castelbouc, che la coinvolge in una drammatica vicenda accaduta ottocento anni prima.
Ritornata a Milano trova una città immersa in un futuro senza memoria e dominata da una potente tecnologia di controllo collettivo. Spinta ai margini della società e in cerca della sua famiglia, Valeria è costretta a fare i conti con i segreti delle sue origini.
Un intrigante viaggio tra passato e futuro che suggerisce al lettore come tornare al presente.
L’edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull’autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.




I fantasmi non invecchiano di Nadia Silistrini
Raggiunsi il portico del palazzo storico che ospitava il convegno, dove tre camerieri pronti a ristorarci con ogni ben di Dio ci aspettavano dietro i tavoli disposti a ferro di cavallo.
Ero assai grata che in quella minuscola città di provincia non si fosse badato a spese. Buttata la giacca sulla spalla feci onore alla tarte tropézienne, le cui brioche disposte sulla tovaglia bianca e blu riempivano il disegno di una vela al vento.
Il sole spazzolava il prato colorato dai cespugli di rose e dalle aiuole di lavanda. Una targa con la scritta Quatre verts rifletteva la luce verso il cancello d’ingresso e trasformava una delle colonne in un fascio di metallo fuso.
Avevo dimenticato gli occhiali scuri e il mal di testa che mi tormentava dal mattino era peggiorato. Questo non mi trattenne dal ripetere coscienziosamente un altro giro davanti ai biscotti alle mandorle e ai fagottini ripieni di frutta. Passai accanto ad alcuni colleghi che volevano assaggiare il vinello proveniente dalle cantine del palazzo. Il professor Charles Villani, che aveva aperto la conferenza, chiese se volevo favorire.
«Molto gentile, grazie. Oggi preferisco l’acqua».
«Parigina, vero? È venuta in questo posto sperduto della Linguadoca per ascoltare le nostre relazioni?».
«Diciamo che ho colto l’occasione. Sono italiana, vengo da Milano».
«Città fantastica. Credo che a Milano le cose da non perdere…».
Nessuna domanda sul perché una milanese partecipasse a un convegno di geriatria nel sud della Francia sfoggiando un perfetto accento parigino. Cominciò a illustrare la mia città come avrebbe fatto una guida turistica esperta; forse era stato davvero a Milano, forse aveva letto tutto su Wikipedia, ma il torrente delle sue parole permetteva solo un “m-m” di assenso.
Sentendolo accennare al Medioevo un collega gli chiese se c’erano luoghi interessanti da visitare nei pressi e lui abbandonò immediatamente Duomo e Navigli per parlare del vicino castello di Plan Vuire. Lo descrisse in tutti i particolari, dal barbacane alle feritoie, dalle caditoie alle merlature, usando un linguaggio specialistico di cui – con mia grande consolazione – non capivano nulla neppure i francesi.
Gli altri si limitavano a contenere gli sbadigli e gli sguardi che spaziavano a trecentosessanta gradi, mentre io non riuscii a mordermi la lingua e lo interruppi per chiedergli se tutto quell’amore per le difese fosse dovuto a qualche complesso non risolto.
«Mi deve scusare, sono psichiatra».
Prese la domanda come una battuta di spirito e rise ammiccando. Congratulazioni Valeria, volevi chiudergli il becco e hai ottenuto il risultato opposto.
Dovetti mostrare un reverente stupore per i concetti di compartimento stagno, rocca di transizione e scarpatura, mentre maledicevo l’emicrania e l’aria soave da madonnina che da sempre attira i tipi paterni, i narcisisti e gli psicopatici.
Alla fine spostai la giacca mettendo in bella mostra la catena dell’orologio da tasca di bisnonno Aldo. Lo estrassi con nonchalance, come se avessi voluto metterlo meglio e non lo guardai, lo rimisi semplicemente via. Funzionò. Il collega tacque sorpreso e interruppe la lezione di architettura militare.
«Bello – borbottò – Proprio bello», e smise di magnificare la fortezza e le tecniche costruttive che l’avevano resa quasi imprendibile nei secoli oscuri dell’Età di mezzo.
Purtroppo prese a parlare degli orologi cylindre remontoir in voga tra le donne tra Ottocento e Novecento e dopo un po’ i miei neuroni si arresero e cominciarono a disconnettersi uno a uno più per sfinimento che per tatto, esattamente come i colleghi, che accampavano la scusa di un secondo dolcetto e un altro caffè per eclissarsi.
Ero sempre più pentita di essermi iscritta a un seminario che non riguardava neppure la mia specialità.