“È tutta vita” di Fabio Volo. Una vita senza sugo?

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Se dovessi pubblicare un libro perché costretto dal mio editore e non sapessi cosa scrivere probabilmente realizzerei un sacco di frasi vuote, senza sugo direbbe Manzoni, e il mio vortice di pensieri sarebbe così sconclusionato che il mio periodare sarebbe breve, quasi sincopato. Se inoltre non avessi a cuore il côté letterario della mia opera non perderei tempo ad arricchire il lessico del romanzo e proporrei una storia banale, così da non dovermi esporre pericolosamente a improvvisi sbalzi di trama o personaggi imprevedibili. Ecco, probabilmente farei come Fabio Volo nelle prime pagine del libro È tutta vita (Mondadori 2015, 19,00 euro).

Quel che ci si attende da Volo non è il romanzo perfetto del nuovo secolo, tuttavia dalla casa editrice forse pretenderemmo una lettura più attenta. Le poche pagine (quelle disponibili in anteprima) che ho potuto leggere lasciano qualche perplessità, faccio qualche esempio.

Un figlio non è un collante, ma un detonatore che può scaraventare lontani.

Forse Volo avrebbe voluto scrivere bomba o esplosivo, poiché il detonatore normalmente ha una carica esplosiva minima che serve appunto a innescare la bomba e che di per sé non scaraventa da nessuna parte.

[…] in silenzio per almeno mezzora. […] Dài cazzo.

Mezzora” e “dài” non esistono come termini in lingua italiana, perlomeno non scritti così.

Siamo andati a Trastevere, in un posto dove fanno pizza al trancio col forno a legna, l’abbiamo mangiata sulle scale di una chiesa.

Immagino l’autore volesse dire scalinata, ma non è affatto un errore.

Non si tratta di errori a mio parere, piuttosto di imprecisioni. Capita quando hai fretta. Quello che suggeriscono i termini utilizzati forse traspare assai meglio nello stile di scrittura, che quando si profonde nella trama del romanzo si concretizza così:

Se qualcuno mi avesse chiesto da dove arrivasse la mia sicurezza, perché proprio lei, non avrei saputo cosa dire. Non ne conoscevo il motivo, non lo sapevo, forse non l’avevo mai saputo.

Sembrava la risposta a una domanda che portavo dentro e non conoscevo.

Sentivo che con lei avrei rischiato, senza sapere esattamente cosa.

Sembra quasi che l’autore non sappia bene di cosa sta parlando o quali arcane forze muovono i sentimenti del proprio personaggio. Non stupirà apprendere che un protagonista tanto abulico presto conoscerà una profonda crisi, forse alcune domande avrebbe fatto meglio a porsele in anticipo…

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In effetti la lettura delle prime pagine del romanzo consegna l’idea di una trama un po’ banale, ma non in quanto ordinaria e di comune esperienza (con tali ingredienti può nascere un bellissimo libro, per esempio l’illustrissimo di Cantoni) ma in quanto stereotipata e prigioniera dei suoi stessi luoghi comuni. Dello stesso avviso, chi più chi meno,  Roberto Russo, Antonella Rossi, Massimiliano Parente e il bravo Davide Mazzocco. Una breve indagine statistica descrive l’ambiente del protagonista: concerto (7 volte); macchina (7); lavoro (6); hotel (6); casa (6); weekend (inteso come pausa dal lavoro, 6); bar (5) etc. I protagonisti si scambiano messaggini, vanno alla spa, mangiano sushi e fanno quello che in definitiva ci aspetta da loro (o ci si attende da un consumatore nel libero mercato).

In alcuni momenti la tensione si alza, ma accade all’improvviso e soprattutto l’evento è liquidato in breve tempo. La moglie è scoperta dal marito a letto con l’amante: il marito che fa? Chiede «Perché?» e se ne va senza attendere risposta. Il protagonista vede al bar la ragazza che diventerà presto sua moglie: come fa a conoscerla? Non ne ha bisogno, è lei che si siede al suo stesso tavolo e inizia a parlare con incredibile complicità al nostro fortunato soggetto. Lui raggiunge lei a sorpresa sui binari del treno prima che lei parta, lei si volta, lui la bacia all’improvviso, lei decide di perdere il treno, lasciar sola l’amica nel viaggio verso casa e restare a Roma con lui. Ecco… mi chiedo se non sia tutto un po’ troppo facile.

Detto questo, vorrei proporre una mia riflessione personale. Il romanzo parla di una coppia in crisi dopo la nascita di un figlio e della tensione erotica fra i due amanti, che il protagonista descrive così:

Come se stando insieme ci fossimo divorati a vicenda.

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Ecco, l’idea di un rapporto consumato dall’interno come una specie di tau autofago mi pone questa domanda: se divoro e vengo divorato, in definitiva, dovrei rimanere lo stesso. Gli amanti di questo romanzo invece paiono divorarsi l’un l’altro senza mai nutrirsi, e credo questo capiti in una vita senza sugo.

Propongo invece al lettore una lettura diversa sullo stesso tema delle conseguenze in una famiglia della nascita di un figlio, ovvero quanto sia piuttosto il figlio a divorare la vita della madre (dalla poppata all’università e oltre, diciamo), qui nel libro I Divoratori di Annie Vivanti.