Il comodino metaforico

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Fabiana Muni

Il comodino metaforico

Prefazione di Rosalba Perrotta

Edizione cartacea
Edizione digitale


Un racconto intrigante, arguto, giocoso e pure malinconico, come la sofferenza dei suoi protagonisti

Rosalba Perrotta

Il comodino metaforico. Virgilio, mercante del legno sapiosessuale, rievoca la storia d’amore con Ornella, architetta in crisi.
Affrontando con passione temi filosofici e utilizzando il linguaggio come gioco, suggerisce al lettore l’importanza di cogliere i doni che la vita offre e la bellezza di abbandonarsi all’emozione di un momento rendendolo infinito all’interno dei suoi stessi confini.
Una scrittura che si proietta oltre le comode metafore e denuncia anzitutto se stessa.

Gli amori incompiuti sono destinati all’eternità, scolpiti nella memoria degli amanti.

L’edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull’autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.


Biografia Fabiana Muni

Copertina Il comodino metaforico

Il comodino metaforico di Fabiana Muni

Prima pagina

Siviglia, ore 10.00

La sveglia suona per ricordarmi l’assunzione della pillola.

Il letto ancora da rifare.

L’aroma del primo caffè in uscita dalla moka.

I raggi del sole da dietro la finestra.

La burrasca nel mio cuore.

La voglia di scrivere.

Il benvenuto a te, caro lettore.

Il mio nome è Virgilio, ho trentacinque anni e questa è la mia storia, o meglio una tra le tante. Una parentesi graffa – non quadrata, né tonda – di cui è composta la trama della mia vita. Prima di aprirla, però, qualcosa di me. Giusto per rendermi più familiare. Il mio sangue è misto; in esso scorrono globuli argentini di Cordoba (ereditati da mamma) e siciliani di Porto Empedocle – zona girgentina – (ereditati da papà). Ho precisato siciliani e non italiani perché a mio parere quest’isola è uno Stato a sé rispetto all’intero stivale; ma è un’altra faccenda e questa non è la giusta sede per discuterne.

La duplice commistione è piuttosto palese nel mio aspetto: ho un incarnato da quinto fototipo, sono il tipico che si abbronza semplicemente guardando il sole e che fa crepar di gelosia gli amanti della tintarella; ho capelli neri con leggere sfumature di bianco (ahimè l’età avanza) folti, crespi e ricci, tanto ricci e tanto crespi che quando mi sveglio la mattina, oppure appena dopo lo shampoo, sono indomabili. Un eufemismo per evitare di mortificarmi troppo. Ho più volte pensato di tagliarli, salvo poi cambiare idea; che posso farci, ho deciso che fino a quando il tempo me lo concederà, come Sansone, la mia testa non conoscerà rasoio. Senza capelli perderei buona parte del mio vigore, di me stesso.

La mia riservatezza mi ha sempre spinto a portare anche la barba, da quando i miei ormoni si son decisi a farmela spuntare, ma adesso sto sperimentando un ritorno alle origini prepuberali, quindi al momento ho il viso pressoché glabro. Dicono mi dona, si notano meglio certi particolari del volto – triangolare, a quanto pare – come le labbra, il sorriso, il neo che mi ritrovo al centro della guancia destra e una piccola cicatrice all’altezza del labbro superiore sinistro, ricordo tangibile di una caduta in bici quand’ero uno scalmanato dodicenne. Da lì, tanto scalmanato non fui più.


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