Maurizio Spadaro
All’ombra della rosa canina
L’orsa Yoga e altri fortunati incontri.
Piccoli gesti che salvano la montagna
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All’ombra della rosa canina. La montagna può ispirare le nostre scelte. Comprendere l’ecosistema e la sua biodiversità porta alla consapevolezza del nostro ruolo in natura.
L’Autore racconta l’incontro con l’orsa Yoga tra le montagne del Parco Nazionale d’Abruzzo, i pericoli che l’animale affronta e la sua lotta per la sopravvivenza. Descrive le emozioni provate con ricordi, fotografie e disegni.
Un’avventura attraverso boschi ricchi di fauna tra lupi, orsi, cinghiali, volpi e uccelli selvatici. La loro vita è oggi in pericolo e dipende anche dalle nostre abitudini quotidiane.

All’ombra della rosa canina di Maurizio Spadaro
La caccia
Ho saputo da alcune guardie che alcuni cacciatori sparano anche ai gatti.
Una frustrazione da preda mancata, in altre parole non avendo un animale selvatico da uccidere ripiegano su gatti, galline e cani randagi: il felino è quello che più degli altri ne paga le spese.
Aver speso soldi per comprare cartucce e non aver trovato l’ambita preda porta tanta abominevole frustrazione.
In passato le prede più desiderate erano le più grosse, alta selvaggina da pelo quale cervi, daini, caprioli, cinghiali, lepri etc. Purtroppo certi massacri, privi di vigilanza, hanno portato all’estinzione quasi totale di orsi, lupi e della lince. Animali caduti sotto i fucili o morti di fame per mancanza di prede naturali.
Anche i camosci sono stati sterminati fino all’estinzione totale, stessa sorte è toccata alle aquile, alle poiane, ai falchi e ai piccoli predatori. I cacciatori sparavano e sparano a quasi qualsiasi cosa; una volta ho soccorso persino una cicogna impallinata da diversi proiettili, una scena orrenda. Ogni specie è legata all’altra, ogni genere di animale per vivere ha bisogno di un altro animale.
Il mondo ecologico è una grande catena naturale, tutto sembra andare verso la direzione di una totale estinzione per colpa dell’indifferenza e della caccia. L’animale selvatico è sempre a rischio estinzione e non esiste prospettiva diversa per il selvatico, i numeri parlano chiaro. Lo sanno i rinoceronti, gli elefanti, i leoni africani e le tigri del Bengala.
Basterebbe un virus, un ceppo dannoso difficile da debellare, una malattia nuova di animali domestici o magari trasportata sotto i nostri scarponi e il numero di animali selvatici si ridurrebbe drasticamente cadendo in un baratro irrisolvibile.
La convivenza conduce ai livelli più alti dell’etica e rappresenta l’obiettivo di ogni evoluzione. Finché non smetteremo di fare del male agli altri esseri viventi resteremo dei selvaggi.
Ancora oggi ci serviamo di uno strumento a disposizione chiamato reintroduzione in natura. Esemplari allevati in banche genetiche o addirittura in giardini zoologici.
Sono progetti scientifici lunghi e complessi che richiedono un grande sforzo economico, tuttavia dovrebbero coinvolgere e sensibilizzare anche le popolazioni locali, sono loro i più interessati. Gli esseri viventi nati e cresciuti in cattività non sono affidabili, hanno un altro comportamento rispetto a quelli selvatici, sono una forma atipica e in natura morirebbero di fame. La conservazione e la salvaguardia della specie nel suo habitat è l’unica risorsa disponibile e nobile.
Anche il bracconaggio (ancora oggi diffusissimo anche all’interno delle aree protette) ha portato al collasso di molte specie scombussolando e danneggiando la catena alimentare dei grandi mammiferi.
La presenza dei selvatici in un’area altamente fruttuosa come quella dei Parchi deve essere sempre sottoposta a una continua vigilanza.
Sono necessari interventi mirati di controllo per ricreare il giusto equilibrio e far riemergere la generosa produttività faunistica, misure capaci di riportare all’apice della catena alimentare il predatore: solo così si avranno proporzioni stabili.
Ciò che invece continua a persistere sono le solite supposizioni che tali equilibri debbano essere raggiunti con scelte sbagliate: inutili battute di caccia che purtroppo con gli anni hanno assottigliato e continuano a immiserire le prede primarie portando i controllori della stabilità naturale come i predatori a morir di fame o migrare verso zone esterne vicine, talvolta troppo vicine all’uomo e alle sue attività.
Per alcuni la caccia svolge un ruolo di gratificazione, un senso di potenza mentale appagata solo da superficiali congetture e dalla credenza che basti sostenere che l’uomo stesso è parte della natura per giustificarlo. Il cacciatore di oggi sposa solo a chiacchiere l’etica ambientalista senza considerare lo spreco di carne inutile: esseri viventi uccisi e massacrati per essere poi lasciati a marcire nelle riserve di caccia (come nel caso di cinghiali, cervi o caprioli). Questo si chiama disturbo ecologico perché disturba i predatori e porta alle estreme conseguenze la lotta per la sopravvivenza. Questa è la caccia!