Salvatore Costanzo
Il matrimonio
della Colomba
Edizione cartacea
Edizione digitale
Il matrimonio della Colomba. Il giovane pescatore Giovannino Bellicori sposa Colomba, figlia di un potente commerciante. Per tradizione il primo giorno del matrimonio si mostra alla piazza il lenzuolo macchiato di sangue verginale; non esporlo significa che la sposa non era illibata o che lo sposo non si è saputo comportare.
«U matrimoniu è comu u muluni,
pò arrinesciri jancu e pò arrinesciri russu».
«Il matrimonio è come il melone,
può riuscire bianco e può riuscire rosso».
Giovannino perde la stima dei compaesani perché u matrimoniu arrinisciu jancu. Femmine maritate Giovannino ne aveva accontentate tante, difatti qualche cornuto gli aveva già promesso una lisciata di pilu. Il giovane, dato per disperso in mare, è trovato cadavere. Com’erano andate dunque le cose?
La storia si sviluppa negli anni Trenta tra Ginostro, paese marinaro ai piedi dell’Etna, e gli Stati Uniti.
È questo un romanzo bellissimo, intenso, con numerosi apparati di traduzione dal catanese; l’amore e il corso della vita di una generazione come metafora di un Paese destinato al sacrificio.
L’edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull’autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.

Il matrimonio della Colomba di Salvatore Costanzo
Primo capitolo
Ginostro, marzo 1934
Ogni anno per il 21 di marzo, festa dell’entrata della primavera, i carusi e gli omini ranni, fatte le dieci di sera, si riuniscono tutti alla Casa dello scirocco, un grande malazene in periferia di Ginostro, quasi a riva di mare, dove è stipata la merce che deve essere imbarcata sui velieri in rotta per l’America; qui ha luogo u jocu di l’asu di mazzi.
È chiamata Casa dello scirocco perché quando il vento di scirocco soffia s’incanala in questa costruzione e ventila le merci stipate.
Sette giovani tra i più valenti, tra cui Giovannino, si posizionano lungo una linea di partenza, ognuno con un secchiello colmo d’acqua. Abbassati i pantaloni, con il pene eretto e inforcato il manico, si porta il secchiello verso il traguardo. Il vincitore delle ultime quattro edizioni è Giovannino Bellicori, insignito del titolo di minchia d’azzaru.
Giovannino è un beddu carusu, alto e bruno di colore, muscolatura viva e occhi latri; era inteso dagli amici u masculu do piaciri; e ladro Giovannino in un certo senso lo era veramente, ma di cuori di fimmine schette e maritate che si lasciavano depredare da lui di tutto tutto. E per questo in paese qualcuno gliela aveva giurata.
In Sicilia il movimento fascista non s’impose con la stessa facilità con cui aveva prevalso nel continente. Un movimento che si diceva rivoluzionario non poteva piacere alla locale aristocrazia terriera, che lo respingeva dichiarandolo estraneo alla cultura siciliana.
Il fascismo, sostenevano gli intellettuali, era sorto nell’Italia settentrionale come reazione alle minacce di espansione del comunismo, ma in Sicilia questo rischio non esisteva; quindi non sarebbe stato necessario importare un movimento che si presentava come restauratore d’equilibri che nell’isola nessuno avrebbe mai voluto intaccare.
Ma in certi ambienti, e su certi giovani, le idee della propaganda e il fermento culturale che alimentava la politica fascista esercitavano un certo fascino. La massima aspirazione di un fascista era la più potente virilità; il vero fascista, si diceva, fa l’amore almeno due volte al giorno, e in questo senso Giovannino Bellicori, arruolato nelle fila della Milizia volontaria per la Sicurezza nazionale, incarnava alla perfezione lo spirito del tempo.
Il 3 ottobre 1935 l’Italia fascista iniziò l’invasione dell’Etiopia, con grande consenso del popolo italiano. Il capo del Governo del Regno d’Italia Benito Mussolini, promotore di una politica espansionista, decise di impiegare grandi energie nazionali per la campagna militare.
Giovannino Bellicori, nell’imminenza del suo matrimonio – su interessamento del suocero, sostenitore del Partito nazionale fascista – non fu tra i primi richiamati in servizio della classe 1911 nella campagna militare. Tale fatto non fece piacere a Giovannino, che come altri giovani ardimentosi non vedeva l’ora di partire. La forzata rinuncia all’impresa militare significò un danno al suo onore, alla sua stessa immagine, e non mancò certo in paese chi trovò la ghiotta occasione per fargli la tiratina di sugu… con qualche rischio, pure.
«… Non ti pigghiari i collera Giuvanninu, attacca u sceccu unni voli u patruni».
«… Vabbè, vabbè, si visti u cori».
Rinunciare alla Campagna di Etiopia non fece piacere neanche a Orazio, padre di Giovannino, per il quale il dovere verso la patria veniva prima di tutto. Orazio però non aveva nessuna simpatia per il Pnf e tantomeno per il suo Capo: «… Stu maistru di scola ni porta alla catastrofi».