Spinosa

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Massimo Zibordi

Spinosa

Racconti da un mondo perfetto

Edizione cartacea
Edizione digitale


Spinosa. Un libro vivace, ironico e autentico che racconta la vita nella campagna mantovana negli anni Cinquanta, ma non si tratta di una semplice autobiografia; il linguaggio è arricchito dall’esperienza poetica dell’Autore, che si fonde perfettamente con la prosa.
A Spinosa la povertà non intacca l’intelligenza o la dignità. I ragazzini apprendono una pedagogia fatta di terra e fossi, senza bisogno di manuali. La religiosità è spontanea e tutto è un gioco, un’intesa ideale tra uomini e natura.

«La sera infilava un’altra moneta rosso acceso nella fessura in fondo all’orizzonte, mentre l’acqua nei fossati parlottava amabilmente dei fatti del circondario».


Quarantadue racconti che fanno riflettere sulla vita, sulla natura e sulle sirene del progresso. Ci si sentiva al centro dell’universo in quella piccola borgata. Si diventava grandi ma senza averne ancora la scorza; e i grandi, si sa, tradiscono sempre i bambini. Ci si credeva invincibili, il vero nemico si sarebbe rivelato il tempo e nessuno si sarebbe salvato.


Biografia di Massimo Zibordi

Copertina Spinosa

Spinosa di Massimo Zibordi

Presentazione

C’è un passo che mi intriga, breve, brevissimo, nelle pagine di Spinosa. Si trova nel racconto Il martin pescatore, là dove il volatile sembra proporre all’adolescente Marco alcune suggestioni straordinarie: il ragazzino si accorge che negli occhi del martin pescatore risiede «la magia di lontanissime e precise rotte migratorie» e poi viene dallo stesso messo in guardia: le sirene talvolta imbrigliano la mente ai nocchieri e con il loro canto ne confondono la rotta.
Sono due originali metafore di molte (tutte?) storie presenti nella raccolta. Incominciamo dalle remotissime rotte migratorie. Non di migrazioni geografiche si tratta ma di affioramenti lontanissimi e tuttavia meravigliosamente precisi, partiti dagli anni Cinquanta e giunti fino a noi. Sessant’anni di “movimenti migratori” (si intenda qui la vita trascorsa da Massimo) non hanno alterato la magia di quel mondo perfetto, ce lo restituiscono invece come se stesse scaturendo da una limpidissima sorgente di montagna posta ai piedi di un nevaio. Quelle donne e quegli uomini, quei cani da ferma e i loro allenatori e veterinari, quelle abitudini e quelle credenze han fatto un loro percorso, han compiuto una precisa migrazione che nello stesso tempo ne ha mantenuto vivissima la matrice ma le ha risuscitate a un livello ove la storia lascia il posto all’etica. Il loro movimento, la loro migrazione, non è carsica, non è tribolata, ma si propone a noi con una trasparenza eccezionale, con i colori nitidi di una giornata luminosa dopo una notte di vento; gratifica il lettore che vi ritrova una vivacità, un’ironia e un’autenticità che sì, davvero, rimandano a un mondo perfetto che è quello dell’infanzia a Spinosa.
E poi ci sono queste sirene che nutrono da sempre l’insano desiderio di smarrire i nocchieri. Rischio eterno, tentazione costante ma lecita, ché solo chi si smarrisce può infine ritrovarsi. E tuttavia a Spinosa, in quel mondo terragno e plastico dove la legge prima – quella più importante – non è scritta nei codicilli di volumi enormi ed ermetici ma dentro il cuore delle persone, le sirene ci sono anche per giovani e giovanissimi; esse tentano, come dice il martin pescatore, di far smarrire la strada ma senza avvedersene la insegnano. Ché non solo l’Autore, ma tutta la folla che egli racconta, se di smarrimenti ne ha avuti, sempre alla fine si è ritrovata.
Con questo mi pare di aver sottratto Spinosa alla pur straordinaria bellezza della rievocazione autobiografica per consegnarlo a un livello ove ogni gesto, ogni parola, ogni episodio, ogni presa di posizione, perfino ogni cane e ogni gatto, assurgono – senza che mai l’Autore abbia bisogno di salire in cattedra – a massima comportamentale universale.
Ecco perché mi piacciono le sue memorie. E anche perché ci sono in quelle storie mille altre cose che appartengono a una quotidianità genuina, semplice, nostra. L’elenco è lunghissimo, inesauribile: il mozzicone dell’Alfa che pende dall’angolo della bocca; il cappello di paglia della Vitasol; il tirar su con il naso; il budino San Martino; il rosario; il lardo; Rin-tin-tin; la camera d’aria che non finisce mai di servire; il pane con lo zucchero; il secchiaio; perfino gli orinali… E dentro questo mondo, noi (consentimi Massimo di entrare anch’io, lateralmente, nelle tue storie).
C’è poi un linguaggio che – ora qui ora là, senza darlo a vedere, con le sole parole, senza immagini o altri ausili – si fa forte dell’esperienza poetica, non estranea a Massimo, e che qui con la prosa va a braccetto: «La terra, insaziabile come ogni sera, ingoiava un sole infuocato»; «nel riflesso frantumato della luna»; «nella genesi del mattino». E poi la neve che «scendeva lieve come una preghiera» e il sole che allunga «un sipario d’ombra» e le «chiassose risate dei fossi», e Dio sa quale timbro avevano per Massimo quelle risate. Ascoltiamo le parole. Hanno bisogno, almeno qualche volta, di accostarsi come vogliono loro, senza regole, o come i poeti saggi o capricciosi le costringono a fare. Fa bene avere un corpo a corpo con le parole, a chi scrive e a chi legge.
C’è una povertà a Spinosa che non intacca né l’intelligenza né la dignità. C’è una pedagogia senza manuali fatta di terra e di fossi. C’è una religiosità spontanea e confidenziale, così come compare nell’ultima riga del racconto Il chiodo della Madonna: «Tra madri certe cose non hanno bisogno di commenti». E le due madri, poste su uno stesso piano che nulla ha di sacrilego, sono la madre naturale e la Madonna: bellissimo!
Ci sono tutte queste cose e molte altre ancora nei racconti, che è come dire in Spinosa, che è come dire nel libro. Perché Spinosa e il libro si identificano, ontologicamente non figuratamente intendiamoci.
Ecco perché mi piacciono i racconti di Massimo.

Aldo Ridolfi
Tregnago, 1° maggio 2021.


Spinosa


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Marta Gambazza

Racconti brevi

Con illustrazioni dell’Autrice

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Racconti brevi. Quattro racconti che chiunque troverà avvincenti. Il ragazzino distratto avrà storie brevi e dritte al punto. L’adulto ci vedrà sotto un messaggio a cui pensare. L’anziano riconoscerà molta umanità dietro formichine e zombie.
Quattro vicende apparentemente straordinarie vissute da personaggi incredibili, ma in fin dei conti ordinari. Un’umanità raccontata in stile ironico e illustrata in modo divertente dall’Autrice.

L’edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull’autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.


Biografia di Marta Gambazza

Copertina Racconti brevi

Racconti brevi di Marta Gambazza

Zombie!

Benché la notizia fosse poco diffusa, una minuta élite di scienziati studiava in segreto l’incredibile fenomeno che stava interessando il pianeta.

Zombie di nuovo tipo, poco decomposti e fisicamente presentabili, si mescolavano con gli esseri umani passando completamente inosservati. I new generation zombie – come li avevano battezzati gli scienziati, erano scaltri, lucidi, solitamente di bella presenza. Attaccavano i vivi di nascosto e ne eliminavano completamente i corpi impedendogli di resuscitare. In questo modo, oltre ad assicurarsi di non venire scoperti, prevenivano la diffusione di zombie classici, ovvero mostri a brandelli che andavano in giro attirando l’attenzione; i loro peggiori nemici.

Per loro la riproduzione era un atto consapevole e quando volevano generare un nuovo zombie seguivano una attenta procedura. Dopo minuziose osservazioni selezionavano un individuo tra i viventi di miglior aspetto, lo rapivano e lo rinchiudevano nella cosiddetta “incubatrice”, tipicamente uno sgabuzzino inghiottito in un posto sperduto.

Era nell’incubatrice che, quando tutto era pronto, il poveretto veniva azzannato in una parte del corpo non visibile, di solito un gluteo, e lasciato morire. Dopo ventiquattro ore di “maturazione”, come la chiamavano, la porta dell’angusto luogo di morte veniva riaperta. Tra l’avida gioia della comunità, stranito e barcollante, ne usciva uno zombie intatto; belloccio, bianco da far paura e con un morso sul sedere. Morso che era da loro chiamato il bacio della morte e che quasi tutti si ritrovavano sotto le mutande.

La vera selezione avveniva solo allora: si doveva capire se il nuovo esemplare era presentabile soltanto fisicamente o anche mentalmente. Veniva accerchiato da qualche decina di zombie e un loro rappresentante gli spiegava per filo e per segno la nuova politica attuata dai new generation zombie di tutto il mondo.

«Solo così possiamo sopravvivere – precisava leggendo un testo ufficiale impiegato in quelle occasioni – Come dimostra la storia, tutti gli zombie che si comportano secondo il vecchio stile attirano l’attenzione e prima o poi vengono eliminati dagli uomini; ci vuole consapevolezza, controllo – e quindi rimarcava – In questa nuova strategia l’aspetto fisico è fondamentale: non possiamo permetterci di andare in giro perdendo pezzi. Nei nostri gruppi ammettiamo solo zombie freschi e distruggiamo quelli messi male. Rattoppiamo i nostri corpi con pezzi di ricambio umani: è l’unico modo – sottolineava – l’unico modo!».

E se il neo-zombie non capiva niente o sapeva solo dire: «Hhhhhhhhhhhhoooooooooo!» dimostrando di essere uno zombie classico, veniva immediatamente abbattuto. Sì, il requisito fondamentale per un new generation zombie, oltre all’aspetto fisico, era l’intelligenza.


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A casa mia
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Giulia Zoso

A casa mia

Un goloso accordo fra anima e parole

Edizione cartacea
Edizione digitale


A casa mia. Gustosa raccolta di premiati racconti di pura fantasia e altri di tipo autobiografico. L’Autrice ci ospita nel suo ambiente, una casa le cui stanze sono intime narrazioni di oggi e di ieri, nostrane ed esotiche al tempo stesso. Sono storie curate, originali e di una preziosa sensibilità, da sorseggiare con lentezza.
Donna a colori ha vinto il secondo premio per la prosa al concorso Stagionalia organizzato dall’Università aperta di Sermide. Nadia, la vita e la vista sotto il burqa ha vinto il Premio speciale per la migliore opera significativa al concorso Vista, immagini e visioni organizzato dalla Biblioteca di Poggio Rusco. Le mie mani è stato segnalato con menzione d’onore al concorso L’arcobaleno della vita, Premio Internazionale Città di Lendinara.

L’edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull’autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.


Biografia Giulia Zoso

A casa mia

A casa mia di Giulia Zoso

A casa mia sono passate nuvole, solleoni, arcobaleni e tempeste. Ho accolto il sole con gioia facendomi scaldare la pelle e il cuore. Un sole che ha fatto germogliare dei fiori che ho annaffiato e curato per renderli più belli che mai. Alcune volte hanno abbassato il loro stelo, ma poi sono rifioriti con nuovo vigore. Ho concimato la terra attorno con accuratezza e pazienza e tolto tutte le erbacce per non intralciare la loro crescita.

Ora sono diventati grandi.

Il mio lavoro a volte non è stato perfetto e ho dovuto rimediare prestando più attenzione.

Li vorrei dipingere questi fiori, con delicate spennellate di rosa, e racchiuderli nello scrigno del mio cuore come il tesoro più prezioso.

A volte, a casa mia, il cielo si è oscurato; nuvole nere hanno coperto d’ombra le mie stanze rendendole grigie e cupe, il mio capo si è inclinato e le mani l’hanno protetto dalla pioggia fastidiosa e insistente.

Poi le nuvole se ne sono andate, l’amico tempo le ha sospinte fuori chiudendo con forza le finestre delle mie stanze. Alcune nuvole non sono più tornate, altre sono state così impetuose da provocare tempeste, da spalancare di nuovo le finestre e lacerare le tende sottili.

La grandine è entrata furiosa colpendo mobili, oggetti e il mio viso.

Ha fatto male, tanto male.

Era grandine ghiacciata e pesante, ha scavato solchi come letti di fiumi per far scorrere le lacrime.

Mi sono inginocchiata e rannicchiata su me stessa, per fuggire a tanta irruenza, nell’attesa che smettesse la tempesta.

Poi i miei occhi hanno colto il primo bagliore di luce, mi sono rialzata, ho ricomposto il vestito, ho spazzolato i capelli e truccato il viso.

Ho riaperto le mie finestre: non c’era più vento né pioggia, ma solo le colorate sfumature di un felice arcobaleno.

A casa mia ho imposto un altolà all’esercito di pensieri neri che vorrebbe entrare e dato calci ai sassi che intralciavano la mia strada, facendoli balzare in aria; sono un ufficiale attento e severo, sarà difficile oltrepassare la mia porta.

A casa mia il tempo ora è sereno; c’è un terrazzo con piante di limoni e menta, un gatto birichino e sornione, comode poltrone e qualche racconto da ascoltare.

Ho preparato dolci e aperitivi.

Vi invito a casa mia…

A casa mia


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